CLAUDIO CESARI – RICORDI

 

Credo che tutti i collecchiesi abbiano un debito di riconoscenza verso Attilio Marchetti..

Per anni la sua bottega di barbiere è stata, a seconda delle circostanze, un cenacolo culturale, un luogo di incontro per appassionati sportivi, una fucina di idee per le più svariate attività ricreative e musicali.

Nei miei ricordi di ragazzo, siamo nel 1950, vedo ancora danzare nelle vie del paese quegli enormi testoni di cartapesta che lui aveva creato per il carnevale, raffiguranti i personaggi del “Corrierino dei Piccoli”. Erano talmente belli che volevamo toccarli, portarli a casa.

Oggi i ragazzi forse sorrideranno a sentire parlare di Bibì e Bibò e della Tordella, ma negli anni cinquanta erano le specchio della nostra giovinezza, con le marachelle di tutti i giorni e le punizioni, anche materiali, che ci venivano somministrate.

Perché ho iniziato dal carnevale il mio primo ricordo di Attilio Marchetti? La spiegazione che posso dare è che ho sempre visto in Attilio una persona molto intelligente capace di sorridere e di fare sorridere con un’unica ambizione: risvegliare nei suoi concittadini l’amore per il proprio paese, migliorare la partecipazione alla vita collettiva, salvaguardare le peculiarità ambientali e culturali.

Ogni casolare che ha dipinto, ogni pezzo del mondo rurale impresso sulla tela, era il suo contributo alla difesa di tanta parte della campagna che si stava distruggendo nel nome di un “progresso” che voleva case nuove ma senz’anima.

Anche i dipinti con le ruspe del Taro sono stati il frutto di una sua ribellione culturale. Non potendole cacciare, se le portava via sulle tele, come fossero un suo personale bottino nella battaglia in difesa del Fiume.

Attilio è stato un grande conoscitore del territorio e della sua storia.

Dai ritrovamenti neolitici, a quelli romani e longobardi, ha sempre dato il suo contributo di appassionato scopritore, fondando con l’amico Guido Larini il gruppo denominato “Ricerche Archeologiche Collecchiesi”.

Ma la sua straordinaria disponibilità, a difendere il territorio collecchiese, trovava una grande conferma negli anni che hanno segnato una svolta nella coscienza di tanti cittadini per la tutela dell’ambiente.

Siamo negli anni ’70, con la grancassa di mirabili opportunità per il territorio collecchiese e circostante, veniva presentato il progetto di una mega-raffineria di petrolio che, sorgendo sulle rive del Taro, avrebbe unito Fornovo con Ozzano Taro. Tanti posti di lavoro, tanta ricchezza sbandierata. La Regione consenziente, tanti politici per il sì, i sindacati più per il sì che per il no.

In quel momento la bottega di Attilio si trasformò in un avamposto di quella che sarà ricordata da Antonio Cederna, sul Corriere della Sera, come la seconda “Battaglia di Fornovo”.

Da una parte i miliardi di Moratti, dall’altra una sparuta schiera di cittadini di buona volontà disposti a contrastare con ogni mezzo l’iniziativa.

Volantini e manifesti appesi alle pareti della barberia, ritagli di giornale, vignette e pensierini, contrassegnarono due anni di ostinato impegno.

Grazie anche allo “scandalo petrolifero” del 1974, della raffineria non se ne parlò più e così Attilio si concentrò nella fase propositiva dei parchi naturali del Taro e dei Boschi di Carrega.

Qualsiasi manifestazione vide la sua partecipazione e quella della sua inseparabile bicicletta perché, da perfetto “ecologo”, non si è mai separato dal suo velocipede modello 1932.

Era molto attirato dagli oggetti della cultura materiale e in ogni attrezzo ne leggeva, a seconda dei casi, la bellezza, l’arte nel costruirlo, testimonianze di vita passata, perlopiù fatta di stenti e fatica.

Ne vedevo in questa sua passione una grande affinità col maestro Guatelli solamente che, per sua sfortuna o fortuna dei suoi famigliari, disponeva di una cantina e non di un granaio.

Amava definirsi non un raccoglitore o un collezionista ma un “raccoglione”, vista la sua incapacità di resistenza verso acquisti troppo onerosi.

Un’altra sua caratteristica peculiare, che è poi un chiaro monito per le generazioni dell’usa e getta, è stato il riutilizzo dei materiali. Per lui la vita di un oggetto non finiva con la funzione per cui era stato creato: ogni oggetto poteva cambiare destinazione d’uso e quando proprio diventava inservibile lo faceva entrare nell’olimpo dell’arte quale pezzo di una scultura.

Di Attilio non ho parlato della sua arte pittorica perché penso che lo avrà fatto molto meglio l’amico Marcheselli; posso solo dire che ho invidiato per molti anni la freschezza e l’agilità delle sue pennellate.

Sulla sua tomba un epitaffio recita:

 

“Ci hai mostrato
come leggere
il grande libro
della vita.

Ci mostrerai
come leggere
l’eterno libro
del cielo”

 

Quale migliore ricordo per un maestro di vita.